Noi vogliamo la Messa antica: introibo ad altare Dei

Il sacerdote è rivolto verso Dio nella Messa antica
Nella Messa antica il sacerdote è rivolto ad orientem verso Dio
Scritto da: avatar dell'autore Antonio Signorato
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Mi chiamo Antonio Signorato, ho trentun anni e scrivo dalla Sicilia.

Perché vogliamo la Messa antica

Alla Messa antica, in latino, quando il sacerdote arriva ai piedi dell’altare, dopo aver fatto il segno della croce, “In nomine Patris, et Fili, et Spiritus Sancti. Amen”, dice “Intoibo ad altare Dei.”, e noi si risponde “Ad Deum qui laetificat iuventutem meam”.

Con queste parole si apre la liturgia della Messa antica, cosiddetta in latino. Da molti definita come Vetus Ordo, Tridentina, “preconciliare”, Gregoriana o, più semplicemente, Messa di sempre, antica.

Con le stesse parole ho voluto iniziare le poche righe che seguono, perché vorrei testimoniare il mio amore per “questa” Messa, nato dal profondo desiderio di dare un significato alla mia vita, un significato che nessuno era mai riuscito a comunicarmi.

Nessuno prima di Cristo Crocifisso, che ho avuto la grazia di incontrare sul Calvario, ovvero alla Santa Messa.

“Salirò all’altare di Dio, verso il Dio che è la gioia della mia giovinezza”. È questo il significato del versetto in apertura.

Buffo, in realtà, sentir parlare di giovinezza, quando magari a celebrare c’è un anziano sacerdote, con tanto di chioma canuta. Buffo, ma non contraddittorio perché, che ne abbia venti, cinquanta o cento anni, il vero cristiano rimane sempre giovane dinanzi a Dio.

Cosa voglio dire con questo?

È presto detto: fin dalle sue prime parole, la liturgia preconciliare sembra volerci suggerire come la fede, la grazia, i sacramenti, la dottrina non siano questioni legate al tempo, ai giovani, ai vecchi, al “prima”, al “dopo”. Sono, invece, questioni legate all’eternità, ovvero, oltre il tempo.

È il Dio eterno, nella Messa antica, che si rivela agli uomini di ogni epoca.

L’uomo ha sete di eterno, oggi come l’aveva duemila anni fa, come l’avrà in ogni secolo. E l’unica fonte, presso cui può dissetarsi ora e sempre, è la stessa: Dio.

“Ci hai fatti per Te e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in Te”. ¹

Dunque, non può esserci linguaggio più giovanile di quello che ci connette con le realtà eterne, con quello stesso Dio che è il Principio e il Fine di tutte le cose.

Riportando la questione sul piano liturgico, abbiamo già trovato una prima, grande, ragione per cui, soprattutto per i giovani, risulta così facile innamorarsi della liturgia della Messa antica: perché essa parla dell’eternità. E, lo fa utilizzando un linguaggio, inteso come insieme delle parole, dei gesti e dei simboli, che trascende la singola generazione e che lega i figli ai padri e i padri ai figli.

Dio è il centro della liturgia antica, quello stesso Dio che rende giovani i nostri cuori.

Purtroppo, non si può dire altrettanto della “nuova” Messa, che fa del proprio centro l’assemblea dei fedeli e che àncora il proprio linguaggio ad una modernità che, presto, sarà diventata un’anticaglia da sostituire con qualcosa di ancor più moderno…

Come può, mi chiedo, ciò che è caduco catturare il cuore dell’uomo? Che, invece, ha sete di eternità?

A questo si ricollega anche quanto dicevo più su, parlando di come l’incontro con la Messa antica di sempre abbia dato significato alla mia vita.

In effetti, non è mio interesse asserire che chi frequenta la Messa Tridentina conduca una vita perfetta senza peccati, perché penso che tutti, a ben guardare, abbiamo qualche disordine con cui fare i conti.

Mio interesse è, invece, testimoniare come la Messa antica, di sempre, sia da considerarsi non come “esito” di tale disordine, ma come soluzione dello stesso.

Chi, infatti, può risolvere i nostri problemi, lavare i nostri peccati, guarire le nostre ferite e riordinare le nostre vite se non Cristo Crocifisso?

Ai piedi della Croce, che si erge sull’altare nella Messa antica, trova senso la vita dell’uomo.

Perché è questo, in definitiva, la Santa Messa: la vera riattualizzazione incruenta del sacrificio di Cristo sul Calvario.

E questo è ciò di cui l’uomo ha bisogno.

Nella Messa di sempre ogni parola, ogni gesto, ogni simbolo, rende chiaro a chiunque – dai più dotti ai più ignoranti – che precisamente in quel momento ci si trova sul Calvario, ai piedi di Gesù Crocifisso.

Si può, in tutta onestà, dire altrettanto della nuova Messa?

Come, allora, ci si può stupire se molti giovani (e meno giovani) nutrono tanto amore e vera devozione per la Santa Messa di sempre?

Come ci si può stupire che la gente ami e cerchi quella Croce a cui si deve la nostra Redenzione e che dà senso a tutta la nostra vita, a tutti i nostri travagli?

La prima volta che assistetti alla Messa antica, di sempre, entrando in Chiesa, rimasi colpito di ritrovarmi di fronte l’altare maggiore con sopra il Tabernacolo: Nostro Signore Gesù Cristo mi ha dato il benvenuto dalla sua “prigione”, in cui se ne sta continuamente rinchiuso per amor nostro.

Non diversamente da come fece con i Pastori presso la povera mangiatoia di Betlemme.

Nelle Parrocchie moderne, giusto per fare un parallelo, per trovare il Tabernacolo bisogna girarsi mezza chiesa. Non è giusto che si tenga il Padrone di casa escluso, in un angolo.

Quello che voglio dire, in altre parole, è che andare alla Messa di sempre c’entra ben poco con dei gusti personali e ha, invece, tutto a che fare con il desiderio di ricevere ciò che altrove ci si è dimenticati di trasmettere.

Perché, in effetti, è di questo che parliamo nella Messa antica: di tradizione.

Un termine che oggi è spesso abusato e che ancora più spesso viene frainteso, ma che diviene incredibilmente chiaro se lo consideriamo a partire dalla sua derivazione latina, tradere, che significa “consegnare”.

Per duemila anni, ogni generazione di cattolici ha consegnato alla successiva quel salutare messaggio evangelico, quell’inestimabile tesoro di grazie che sono i sacramenti, quell’unica via di salvezza che è lo stesso Nostro Signore.

Ciò che dovrebbe preoccupare, e molto, i fedeli Cattolici di oggi, è che questa “consegna”, questa “tradizione” sembra essersi interrotta, senza la Messa antica.

Gli uomini e le donne di questo secolo hanno sete, e hanno la stessa sete d’infinito che tutti gli uomini e tutte le donne di tutti secoli precedenti hanno avuto. Desiderano la stessa acqua salvifica, ma questa viene loro negata.

Io non sono liturgista, né un teologo, tanto meno un esperto di diritto canonico: sono solo un povero assetato, che non ha trovato acqua per dissetarsi fino a quando non è giunto ai piedi dell’Altare, ai piedi della Croce.

Nessuno, nelle molte Parrocchie che ho frequentato in gioventù, mi ha trasmesso il “senso” della Croce. Nessuno mi ha indicato Dio come fine ultimo della mia esistenza. Nessuno mi ha mostrato la Santa Messa come riattualizzazione del Sacrificio del Calvario.

Nessuno mi ha spiegato, concretamente, ciò che Cristo ebbe a dirci in Mt 16, 24-25 “Allora Gesù disse a’ suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua.»”

Ma senza il senso della Croce, come si può comprendere davvero la Messa?

E senza la Messa antica come si può comprendere davvero il senso della Croce?

Dove è più facile scorgere la grandezza del Santo Sacrificio, dove è più facile scorgere il Calvario? In una liturgia che mette al centro l’assemblea, che risuona di chitarre e tamburelli, dove neppure si scorge il Tabernacolo e dove l’Altare è diventato una suppellettile di cui ricordarsi per il breve momento della Consacrazione? O in una liturgia che nei suoi gesti, nelle sue rubriche, nei suoi canti è interamente orientata a Dio? E, che fa dell’Altare “versus Deum”, simbolo di Nostro Signore, il centro della propria celebrazione?

In una liturgia che spinge i fedeli a ricevere il Corpo di Cristo stando in piedi come il sacerdote, molto spesso ormai, obbligatoriamente sulle mani. Senza alcuna considerazione per le particole che, lo sappiamo per Fede, contengono tutto il Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Nostro Signore.

Oppure nella liturgia che assicura la massima cura per il Santissimo Sacramento e in cui i fedeli possono comunicarsi in ginocchio e sulla lingua?

Un antico adagio ci ricorda che “Lex orandi, lex credendi”. Ovvero, il modo in cui preghi, influenza quello che credi.

Questa è la ragione per cui sempre più fedeli, di tutte le età, hanno l’insopprimibile bisogno di frequentare la Messa antica, di sempre.

«Noi vogliam Dio!»

Vogliamo Dio al centro delle nostre vite, delle nostre case, delle nostre famiglie, delle nostre scuole e del nostro lavoro.

Noi vogliamo Dio al centro dei nostri cuori.

E lo troviamo lì, al centro… al centro dell’altare, quando, alla domenica, ci saluta dal Tabernacolo. Ogni volta come fosse la prima.

Negli anni, purtroppo, sono stato costretto dalle circostanze – e dal clima sempre più repressivo nei confronti della Santa Massa antica, di sempre – a seguire Cristo in esilio in ogni genere di Cappella “di fortuna”: in case private, in chiesette “appartate”, in locali affittati… eppure, sempre, ogni volta – non importa dove mi trovassi o quanto fosse disadorno il luogo della Messa antica (una cum Petro) – sempre ho avuto presente davanti ai miei occhi il Calvario, la Croce, Dio.

Vorrei chiudere con una citazione che trovo davvero molto eloquente. Appartiene a San Luigi IX, Re di Francia; il santo che, per disegno provvidenziale, si festeggiava la prima volta che mi recai alla Messa di sempre.

Si racconta che un giorno un valletto, vedendo il Re ascoltare la Messa in ginocchio sul pavimento, si affrettò ad offrirgli un inginocchiatoio. Ma San Luigi lo rifiutò, dicendo così: «Nella Messa Iddio si immola e così anche i Re devono inginocchiarsi sul pavimento».

Se perfino il Re di Francia, dunque, sentiva il dovere di inginocchiarsi dinanzi a Cristo Crocifisso, si può facilmente comprendere che lo stesso dovere sentano in cuor loro gli uomini e le donne di tutti i tempi, compreso chi, umilmente, scrive.

Viva Cristo Rey!

Antonio Signorato

¹Sant’Agostino, “Confessioni” Libro I


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Antonio Signorato Autore cattolico
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