
di Redazione
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Vi sono due grandi settimane, la settimana della Creazione e la settimana della Redenzione. La prima è la settimana della gioia, la seconda è la settimana del dolore; l’una e l’altra la settimana dell’amore, dell’immenso amore di Dio verso gli uomini.
La seconda è chiamata la Settimana Santa. Santa per la santità dei misteri che ricorda e rinnova, santa per le disposizioni con cui dobbiamo assistervi, santa per l’affetto salutare che dovrebbe produrre in noi.
Settimana Santa!
Questo nome vale un libro intero.
È la settimana dei grandi contrasti: comincia con la gioia, finisce con il dolore; comincia con le Palme, finisce con la Croce.
Comincia con l’ingresso trionfale di Cristo in Gerusalemme, fra le acclamazioni di tutto un popolo beneficato e riconoscente, che grida:
Hosanna filio David: benedictus qui venit in nomine Domini.
Finisce con le grida di un popolo ingrato che urla inferocito contro l’innocente:
Crucifige, crucifige eum!
La Chiesa segue nelle sue funzioni la storia del Vangelo. Nella Domenica delle Palme con la processione degli ulivi ricorda l’ingresso trionfale di Cristo. L’ulivo è l’emblema della pace e del perdono. L’ulivo benedetto, è portato in processione dai sacerdoti nella Chiesa, viene poi portato nelle case dei fedeli, appeso al capo del letto, insieme al cero della Purificazione. L’ulivo rappresenta la pace della vita, e il cero la fede nella morte; l’ulivo la pace con gli uomini e il cero la fede con Dio: un piccolo sommario della religione nel santuario domestico.
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Il lunedì, il martedì e il mercoledì Santo, la Chiesa continua a rammentarci i diversi avvenimenti che precedono la Passione del Salvatore.
Il mercoledì sera incomincia l’Uffizio delle tenebre. Esso si compone del Mattutino, e delle Lodi del giorno dopo, che si canta la vigilia per anticipazione. È stato dato a questa parte dell’Uffizio il nome di tenebre, perché verso la fine si spengono tutti i lumi, tanto per esprimere il dolore profondo nella Chiesa per rappresentare le tenebre che ricoprirono tutta la terra alla morte di Gesù Cristo. L’estinzione dei lumi rammenta anche un fatto storico della nostra bella antichità cristiana: l’Uffizio che facciamo la sera si faceva nella notte, e durava fino alla mattina. E, a mano a mano che si avvicinava il giorno, si spegnevano successivamente i lumi che non erano più necessari.
Questi lumi erano e sono tuttora ceri collocati sopra un candeliere triangolare, a sinistra dell’altare, e sono ordinariamente in numero di quindici, cioè sette per parte e uno in mezzo. I ceri d’ambedue le parti vengono spenti successivamente alla fine di ciascun salmo, cominciando dal più basso dalla parte del vangelo, quindi dall’altra parte, finché non rimanga acceso soltanto il cero di mezzo.
I ceri sono fatti di cera gialla, come prescrive un Rituale Romano antico, perché era in genere usato dalla Chiesa nei funerali, e nel gran dolore. Quello che si trova nel mezzo del candeliere triangolare è comunemente fatto di cera bianca, rappresentando Gesù Cristo.
All’ultimo versetto del Benedictus, questo lume viene calato e nascosto dietro l’altare, mentre si recita il Miserere e le preci, poi è riposto. Questa cerimonia ci rappresenta la morte e la risurrezione del Salvatore. Gli altri quattordici ceri rappresentano gli undici Apostoli e le tre Marie. Si spengono per ricordare la fuga degli uni e il silenzio delle altre, in tempo della Passione.
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Nel Giovedì Santo incomincia il dramma della Passione, preceduto, a crescerne il contrasto, dalla più sublime manifestazione dell’amor di Cristo, l’istituzione della Eucaristia, la Cena. La Chiesa stabilisce un altro giorno solenne nel corso dell’anno per ricordare e celebrare questo fatto, la festa del Corpus Domini: è la gloria del Sacramento. Il dolore vince le manifestazioni dell’amore, o meglio: l’amore fa più vivo il dolore.
Una cerimonia precedette il dono dell’amor di Cristo, la lavanda dei piedi: è un atto di umiltà e di purità. Di umiltà dalla parte di Cristo, di purità, come segno della purezza di coscienza, con la quale unicamente si può essere degni di ricevere con frutto il dono di Cristo. L’atto di umiltà, che è poi anche un atto di carità, è così caratteristico che venne conservato e fatto universale nelle tradizioni della Chiesa: la lavanda dei piedi si repete ancora oggi: le persone rivestite della più alta dignità della Chiesa e dello Stato, Papi e Imperatori, si fecero un onore di rinnovarla: col farsi piccoli diventando grandi, essendo nel posto di Cristo.
Nella funzione del Giovedì Santo si consacrano gli Olii che serviranno per l’amministrazione di molti sacramenti, il Battesimo, la Cresima, l’Estrema Unzione, l’Ordine Sacro. A quali sensi di elevata e profonda meditazione deve chiamarci quella benedizione!
Un autore ha lasciato scritto: «tutte le volte che assisto alla benedizione degli Olii mi preoccupo nel vedere il Vescovo pregare su di loro per farvi discendere lo Spirito di Dio. E mi domando: chi di noi sarà il primo unto con quell’olio? Sarà un fratello? … Sarà un amico? … Sarò io stesso?»
Quando questi pensieri invadono la mente, le cerimonie della chiesa ci sembrano doppiamente sante: i pensieri gravi sono fratelli dei pensieri salutari.
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Ecco il gran giorno: il Venerdì Santo! Il giorno del grande Sacrificio.
Le funzioni della Chiesa assumono un carattere di eccezionale grandiosità e gravità. Le impressioni che i fedeli provano in questo giorno, il poeta le ha riassunte nelle seguenti parole:
O tementi dell’ira ventura
Cheti e gravi oggi al Tempio moviamo,
Come gente che pensi a sventura,
Che improvviso si intese annuziar.
Non si aspetti di squilia il richiamo;
Noi concede il mestissimo rito;
Qual dì donna, che piange il marito,
È la veste del vedovo altar.
Specialmente a Roma, con l’intervento del Papa in San Pietro, dei Cardinali nelle altre grandi Basiliche, le funzioni della Settimana Santa, che si chiudono colla Pasqua assumono un carattere di così grandiosa solennità, che attraggono, per assistervi da tutte le parti del mondo, cattolici e non cattolico. Fra noi c’è il proverbio:
Natale co’ tuoi,
Carnevale dove puoi,
La Pasqua a Roma.
Nel Venerdì Santo non si celebra la Messa come negli altri giorni. Il Rito Ambrosiano esclude la Messa in tutti i venerdì di Quaresima; il Rito Romano l’ammette, ma nel venerdì ha pur esso una limitazione: si celebra la Messa, ma non si consacra: l’ostia che viene consumata dal sacerdote viene consacrata precedentemente. Perciò, la si chiama la Messa dei Presantificati.
Una cerimonia speciale del Venerdì Santo è lo Scurolo. Lo scurolo è il luogo dove vengono riposte le specie consacrate dell’Eucaristia. Lo Scurolo è immagine del sepolcro dove venne deposto il corpo di Cristo; da ciò il nome che lo distingue, Scurolo, cioè luogo senza luce, luogo mesto, appartato. Gli Scuroli nelle Chiese sono infatti collocati nelle cappelle laterali, o nelle cripte sotterranee. La visita agli scuroli costituisce una delle pratiche più commoventi e più comuni nelle consuetudini della vita Cattolica.
Altra funzione, non generale, che si compie in molte Chiese, funzione non liturgica, ma suggerita e sostenuta dalla pietà, è la funzione delle sette parole. È una funzione che dura tre ore, da mezzodì alle tre del pomeriggio, le tre ore che Gesù Cristo stette agonizzante in Croce. Un sacro oratore ricorda e spiega successivamente le sette parole dette da Cristo in Croce. Questa funzione che ritrae al vivo, che fa quasi presente la grande scena del Calvario, desta sempre nell’animo la più profonda delle impressioni. Si ascolta, si piange.
Un’altra funzione è quella della Via Crucis, devozione autorizzata e benedetta dalla Chiesa, ed entrata ormai nelle pratiche più comuni della devozione cattolica. Quanto era bella, quanto era commovente, quanto era terribilmente impressionante questa funzione, quando si compieva nel Colosseo di Roma! Sul piano della grande arena erano state innalzate le quattordici Cappelle della Via Crucis: nel mezzo si ergeva colossale il legno della Croce. Il Colosseo era stato il luogo del trionfo del Paganesimo, era stato il luogo dove, col grido «I Cristiani ai leoni» il Paganesimo aveva cercato e creduto di spegnere nel sangue la fede del Crocifisso. Invece la fede del Crocifisso aveva trionfato, e il sangue dei martiri era stato uno dei mezzi più potenti del suo trionfo. Come era bello, edificante, il ricordare il trionfo della Croce dove la Croce era stata maggiormente combattuta! La Croce nel Colosseo era una storia… una storia gloriosa e commovente… gli scavi nel piano del Colosseo hanno fatto sparire tutto!
La sera del Venerdì Santo si chiude senza il consueto e allegro suono delle campane. I fedeli sono richiamati alle funzioni col suono rauco e stridente delle tabelle di legno scosse e agitate. È un piccolo dettaglio per rendere più sensibile la pena del mestissimo giorno.
Giorno mesto, ma quanto grande! È il giorno nel quale per il Sangue dell’Uomo-Dio tutta l’umanità è stata redenta. L’umanità non dimenticherà mai quel giorno. Tutti gli oggetti che hanno attinenza con il dramma del Calvario, con la Passione di Cristo, saranno conservati con affannosa e affettuosa gelosia. Celebri città vanno orgogliose di possedere qualcuno di questi oggetti: Roma la Scala Santa, la Colonna, e una parte notevole del Legno della Croce; Mantova il Sacro Sangue; Lucca il Volto Santo; Milano, Monza, uno dei Santi Chiodi; molte città le Sante Spine; Treviri la Veste inconsuntile, la Sacra Tunica di Cristo, sorteggiata ai piedi della Croce; Torino la Santa Sindone.
Quando mancarono gli oggetti, l’arte in tutte le sue forme, per mezzo dei suoi più distinti cultori, scrisse la storia della Passione di Cristo con lavori immortali, che sono a un tempo la manifestazione e il trionfo della fede. Ai piedi della Croce del Calvario vedete come vengano tutte le arti a deporre i loro tributi.
La letteratura: la segue Fortunato con l’Inno Vexilla regis prodeunt; Lattanzio con il lavoro sulla Passione; Innocenzo III con lo Stabat Mater; il Tasso con la Gerusalemme Liberata; il Manzoni con l’inno La Passione.
La Musica: Boccherini, Pergolese con lo Stabat Mater, Rossini, che ne ripete le note, sublimandole; Hayden con le Sette parole; Gounod, con l’Oratorio La Redenzione; Perosi, che nell’Oratorio La Passione trova la prima espressione, la prima conferma del suo genio.
La scultura: Michelangelo con la Compassione (la Pietà), Giacometti con il Bacio di Giuda, Marchesi con la Deposizione dalla Croce, Vela con l’Addolorata.
La Pittura (i pittori della Passione sono una legione): tutte le parti della Passione sono ritratte nei più minuti dettagli: il capolavoro di molti pittori fu ispirato appunto dalla Passione.
La Cena di Leonardo, a Milano; L’agonia nell’orto di Dolci a Genova; il bacio di Giuda di Giotto, a Padova; Gesù dinnanzi a Pilato di Gérôme, a Parigi; l’Ecche Homo di Giambellino, a Milano; la testa dell’Ecce Homo di Guido Reni, a Londra; Lo spasimo di Sicilia, o l’Andata al Calvario di Raffaello, a Madrid; la Crocifissione di Tintoretto, nella scuola di S. Rocco a Venezia; il Crocifisso di Van Dick a Bruxelles; la Deposizione della Croce di Rubens a Anversa, di Frate Angelico a Firenze; il Cristo deposto dalla Croce di Bartolomeo, a Firenze, in Francia, a Londra; Cristo portato al sepolcro del Caravaggio, nella Pinacoteca del Vaticano; Cristo imbalsamato di Morelli a Napoli; l’Addolorata sola, con la corona di spine del Figlio sulle ginocchia, di Velasquez, a Madrid…
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O Cruz, ave spes unica! La Croce è la redenzione del mondo; essa è posta dappertutto, sulla facciata delle Chiese, sulle tombe dei morti, sulla vetta dei Monti, sul petto dei guerrieri, sulla bandiera di illustri popoli e città: dove arriva la Croce, ivi è la civiltà. La Croce sorge intermedia fra il Vecchio e il Nuovo Testamento, chiude il primo, apre il secondo. La Croce sorge intermedia fra il tempo e l’eternità. Essa comparirà precedendo Cristo nel giorno del giudizio universale: sul Calvario è la Carità, allora sarà la Giustizia. Al comparire della Croce in cielo plangent omnes tribus terrae, piangeranno nel vederla tutte le nazioni della terra. È l’umanità risuscitata, è l’umanità completa. Momento unico nel quale tutta l’umanità è presente; non lo fu mai così, poi non lo sarà più. Sono tutti dinnanzi alla Croce: plangent omnes tribus terrae. È una scena che solo Michelangelo ebbe il coraggio di affrontare: la realtà sarà maggiore dell’immagine. Plangent omnes trinus terrae: saranno lacrime di gioia, saranno lacrime di spavento. Fra l’innumerevole moltitudine ci troveremo anche noi; anche noi piangeremo; quali lacrime saranno le nostre?
Noi fortunati … il far sì che siano lacrime di gioia non dipende che da noi!
Piangiamo con dolore e con amore dinnanzi alla Croce del Calvario, e dinnanzi alla Croce del Giudizio piangeremo di gioia.
Un istante, e si udrà la parola: venite, benedetti!
Un istante…
Ecco il Cielo, il Cielo per sempre!
Tratto da L. V., IL BUON CUORE, Giornale settimanale per le famiglie, Anno I, Num. I, 1901
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